Studio di Psicoterapia/Associazione di Promozione Sociale
Associazione che si occupa di promozione del benessere psicologico in un’ottica di prevenzione del disagio individuale e relazionale, in ogni fase del ciclo di vita
Sara di Pietrantonio, l’ultima vittima di femminicidio, è stata uccisa dall’ex fidanzato. Alla fine lui ha confessato dicendo che le ha dato fuoco quand’era ancora viva. L’ha messa al rogo e ha lasciato un corpo bruciato dove prima c’era una ragazza che stava per tornare a casa. Dell’ex fidanzato dicono – i conoscenti di lei – che la perseguitasse e che non aveva gradito di essere stato lasciato. Un "no" è difficile da digerire per uno che vuole solo imporre potere, controllo, che è interprete della cultura del possesso. Qualcuno lo ha descritto come un individuo “geloso” e già sui media inizia il processo alla vittima con chi afferma che lei avrebbe intrapreso un’altra storia. C’è poi una serie di titoli, frasi, commenti che, sui media, rinviano ancora ad una figura bisognosa. Qualcuno parla di “amore” non corrisposto o di “troppo amore”, che poi è la balla di sempre usata per giustificare un delitto di questo tipo. C’è chi si chiede perché lei non avesse denunciato, dato che lui viene descritto come uno stalker che l’aveva costretta a cambiare abitudini, a rinunciare a incontrarsi con gli amici all’Eur. Ma tutto questo gioco del rimpallare responsabilità, continuando ad analizzare i perché si o no lei non ha fatto o ha fatto questo e quello, non fa altro che spostare l’attenzione sulla vittima. E non si tratta di una attenzione buona, ma di un processo. Altre donne avevano denunciato, perfino più di una volta, ma sono state uccise lo stesso. Altre avevano usato amici e parenti a farle da cordone protettivo, e lui è arrivato comunque. Ed è sbagliato immaginare che chi commette questo tipo di delitti sia un mostro. Non lo è. Dirlo significa non guardare accanto a noi, nei nostri contesti, tra le persone che conosciamo, normalissime, uomini e donne, che a volte giustificano uno stupro, altre volte chiamano “poco di buono” una ragazza in shorts, o ancora trovano divertente fare battute sessiste, dimenticando che una donna ha il diritto di dire “no”, di scegliere per sé, e che la reazione autoritaria di chi impone scelte diverse risponde a una mentalità che fino a poco tempo fa aveva una sua giustificazione nel delitto d’onore. La legge che lo consentiva non esiste più ma esiste ancora la cultura che stava dietro a quella legge. Esiste ancora chi parla di gelosia, di amore, di un uomo bisognoso e fragile che aveva bisogno di pietà. E per quanto un uomo sia disperato perché la ragazza l’ha lasciato, quando quella disperazione diventa giustificazione per un delitto si tratta di un orrendo atto di egoismo: mia o di nessun altro. Mia o di nessun altro. Questo è possesso, è la convinzione che una donna sia di esclusiva proprietà dell’uomo che dice di amarla. E’ l’incapacità di vedere una donna come altro da sé. Questa è violenza di genere, per il ruolo di genere che viene imposto ad una donna quando si crede che lei, in quanto donna, dovrà essere fedele, a soddisfare le voglie di un uomo che non sa accettare un "no" come risposta. Due consigli, mai ripetuti abbastanza:
Il femminicidio trattato come un brand, per vendere la propria immagine o quella di un governo, senza tenere conto di quello che è la violenza di genere, di quanto sia radicata la mentalità sessista in ogni spazio che frequentiamo, resta solo una parola vuota, incomprensibile, perfino non utile. Pensateci. Pensiamoci. P.S. La ragazza aveva chiesto aiuto alle macchine di passaggio e nessuno si è fermato. Se questa cosa è vera poi non chiediamoci perché serve combattere contro una cultura che coinvolge troppe persone, incluse quelle che pensano che “i panni sporchi si lavano in famiglia”. [email protected]
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Aprile 2017
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